Pascal

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Un posto particolare, nel novero delle illusioni di stabile felicità, è occupato dalla vanità, che scaturisce da una volontà di riconoscimento: “Siamo tanto presuntuosi che vorremmo essere conosciuti da tutta la terra, anche da quelli che vivranno quando noi non esisteremo più; e siamo tanto fatui che la stima di cinque o sei persone che ci circondano ci rallegra e ci fa contenti”. (150) Questo per quanto riguarda la mentalità comune. I filosofi e gli scienziati, invece, non possono essere considerati esclusivamente secondo l’ottica della vanità e del divertissement (anche se poi gli appartengono, in quanto uomini), ma devono essere esaminati, nei loro auspici di conoscere, secondo un quadro ben più ampio di quello della sola etica. Un quadro che includa, ovviamente, anche la distinzione pascaliana tra esprit de géométrie ed esprit de finesse. Tralasciando per un attimo l’aspetto gnoseologico, ci limitiamo ad esporre i motivi che inducono a Pascal a parlare di un eccessivo orgoglio anche per la scienza e la filosofia. La scienza, e il razionalismo che da lei nasce, si propone di spiegare i meccanismi di tutto il creato, ma non ne è capace sia per limiti metodologici sia perché non assolve mai del tutto a ciò che l’uomo richiede da parte dell’esistenza. Il sapere scientifico, difatti, è sempre limitato dall’esperienza che, se da un lato è la forza del suo metodo (Pascal è contro l’apriorismo cartesiano), dall’altro è anche incapace di donare universalità e assoluta necessità alle conoscenze. La scienza, inoltre, parte da principi indimostrabili per il suo stesso metodo e, se giunge a comprendere i meccanismi della natura, non riesce mai, alla fin fine, a dar risposta agli interrogativi umani di fondo: chi siamo, perché viviamo, qual è il nostro destino ultimo, etc, perché tali domande riguardano in un certo senso l’infinito ed il nulla, i due estremi entro i quali l’uomo è calato ed al di là dei quali non può esistere mai, per lui, una certezza razionale. A

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