Un'integrazione riuscita
Laura parlava di Amsterdam, dove i genitori erano arrivati senza conoscere nessuno e con quattro soldi e una carta d'identità falsa, avevano preso in affitto un piccolo appartamento. All'inizio era stato più facile del previsto. Non si erano sentiti braccati, fuggiaschi, profughi (1), ma semplici emigranti in cerca di lavoro. Che avevano trovato assieme, nella stessa fabbrica di elettronica e, pur non essendo abituati alle attività manuali, non si erano mai lamentati, il salario era buono, potevano costruirsi una nuova vita un futuro dignitoso, dimenticando il passato. Nostalgia ? Solo Drita pareva soffrire della lontananza dalla sua famiglia, ogni tanto si rintanava nel letto e pianqeva, ma Antonio Damis la sapeva consolare, la stringeva forte a se, la convinceva dei vantaggi della nuova vita, della libertà e del benessere conquistati con le proprie forze. «Non ci manca nulla, » le diceva «e le nostre famiglie capiscono la nostra scelta, ci aspettano e prima o poi le rivedremo, andremo assieme a Tirana, a Hora. »[...]
Quando'nacque Laura, la loro puparella, come la chiamava con affetto il padre, cominciarono entrambi a sentire Amsterdam più familiare: entrarono in contatto con l'asilo poi con le scuole, con gli insegnanti, con i compagni della puparella, con famiglie olandesi e straniere. Con il tempo impararono abbastanza bene l'olandese e Drita utilizzò al meglio le sue competenze da ballerina, organizzando corsi di danze balcaniche in una palestra, mentre Antonio fu assunto da un ente scolastico italiano che cercava un segretario diplomato in ragioneria. Cosi traslocarono in una casa più qrande e più vicina al centro della città.
Erano persone in gamba, i suoi genitori, ha detto Laura con orgoglio, e lei aveva vissuto un'infanzia felice, parlando con loro un miscuglio di arberesh e albanese e fuori di casa l'olandese, imparando col padre l'italiano, il tutto con naturalezza, senza grossi problemi.
Poi però il primo giorno delle