Grande guerre : lussu, stuparich
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“il poeta non deve avere, non ha altro fine che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo”
Giovanni Pascoli nacque, quarto di dieci figli, nella Romagna papalina del 1855. Il padre era fattore di una tenuta, ma quando Giovanni aveva dodici anni venne assassinato, segnando l’inizio della tragedia personale del poeta: a questa morte seguirono difatti a breve quelle della madre, di una sorella e di due fratelli. Durante il periodo universitario venne influenzato dalle ideologie socialiste ed anarchiche, tanto che finì addirittura in carcere per aver partecipato ad una manifestazione contro il governo. I dolori della tragedia famigliare, la conoscenza della povertà e delle idee socialiste, insieme alla permanenza in carcere, dotarono il poeta di una forte sensibilità e di un grande senso di umanità, rintracciabili nella sua produzione poetica. Il poeta avvertiva inoltre quelle inquietudini che caratterizzavano gli uomini di fine ottocento, dovute al crollo delle certezze positiviste riguardo la crescita illimitata della scienza, a causa anche di una nuova realtà storica di violenza (sono di quegli anni le cannonate di Bava Beccarsi sulla folla e la prima rivoluzione russa) e dello sviluppo di nuove scienze irrazionali come la psicanalisi. Dice il Pascoli espressamente: «La scienza ha fallito! …la morte doveva ella cancellare»(7). Da questo ricavò la necessità di una fede di cui non è nemmeno troppo convinto perché non sa se essa sia verità o illusione: «Noi torniamo alla fede che (è verità o illusione?) non ha solo abolito la morte, ma nella morte ha collocata la vita e la felicità indistruttibile»(7). Le sue prime produzioni risalgono al tempo dell’università e si ispirano al suo maestro Carducci, tuttavia esclusivamente per quanto riguarda la poesia paesistica e di atteggiamento popolare e non quella maggiore.(1) Queste prime poesie, che