Lecture analytique : " si tu t'imagines " queneau
per Matteo Bergamini
nell’arte contemporanea:
. . .
piccolo se il senso lo domanda, se il lavoro lo pretende oggi il formato della carta non importa più tanto – a meno di volerne fare un riferimento specifico – e le gigantografie si sprecano, anche a sproposito; i libri e i cataloghi d’arte sono così grandi che non si riescono nemmeno a leggere, e la quantità di pagine dei quotidiani esige un lettore a tempo pieno mi viene in mente, al contrario, che ho dedicato, tempo fa – ma è ancora un discorso aperto – una serie di fotografie ai Nani (del bosco, da giardino) perché rappresentano, ai miei occhi, il tema dell’ambivalenza: i Nani, che sono rimasti gli unici ad avere un “Fronte di Liberazione Nazionale”, vengono rapiti non si sa se per disinfestare i giardini dalla loro presenza kitsch o per liberarli in radure sperdute in onore alla loro poetica differenza
grande, troppo grande, smisurato, pesante, ingombrante: una deformità; più che parlar di giganti mi pare di stare parlando di me quando vado a una fiera (purtroppo anche d’arte) e mi sento schiacciata da un troppo... cerco di pensare se c’è nella parola “gigantismo” qualcosa di buono, perché d’istinto non riesco ad associarla a elementi positivi di grandezza... ... penso ai Titani, che rimandano l’immagine della castrazione di Urano (non è certo un mito edificante quello di un padre che si mangia i bambini, e di una madre costretta a farlo evirare da un figlio); poi, se guardo al “gigantismo abissale” del calamaro o del “verme tubolare gigante”, preferisco rifugiarmi nel più confortevole “nanismo insulare”; alla “gigante rossa” preferisco la “volante rossa”; e dai Giganti (Una ragazza in due) passo a un gigantista (che è uno sciatore) o alla Gazzetta di Parma che nel settembre 2008 titola: il Correggio era “un gigante che dipingeva in modo gigantesco, ma che non voleva giganteggiare”; è curioso che nell’elenco dei sinonimi tra i lemmi che derivano da gigante ci sia, oltre agli ovvii