Article de presse en italien
Roma, mercoledì scorso, ore 14,15, linea 791: sono una studentessa di 19 anni e sull’autobus che ogni giorno mi porta a casa dall’università di Roma Tre, sto in piedi nella pedana in mezzo a tanta gente. L’autobus è pieno, si sta stretti. Ascolto Ligabue con il mio i Pod infilato nella tasca dei jeans e le cuffiette alle orecchie. Improvvisamente il silenzio, mentre sento nettissima una mano sfilare l’iPod dai miei pantaloni.
Allora guardo chi mi sta più vicino: sono due uomini (che siano di colore non ha importanza), non due ragazzi, due uomini sui quarant’anni e li vedo fare un movimento rapido come se nascondessero qualcosa . Li guardo e dico: “Ridatemi il mio iPod, per favore so che l’avete preso voi”. “ Datti una calmata, ragazzina,- mi rispondono con tono minaccioso,- mica siamo zingari, che vuoi da noi…”
A questo punto inizia a salirmi la rabbia e un frustrante e drammatico senso di impotenza. Che fare? Uno dei due ha sicuramente il mio iPod in tasca e tutti e due stampata in faccia un’aria strafottente di chi sa che l’ha già fatta franca.
Accanto a me, il vuoto. Molte persone vedono quello che accade, nessuno fa niente, nessuno dice qualcosa. Decido di andare dal conducente per cercare, almeno da lui, un aiuto. Peccato. L’autista, mentre guida è al telefono. Mi divide da lui un vetro che mi rende invisibile: sembra isolarlo da tutti e da tutto. Oltre alla strada (per fortuna) non presta attenzione ad altro se non alla sua telefonata concitata. Batto il vetro: neanche mi guarda. Batto ancora più forte. Alzo la voce per richiamare la sua attenzione. Niente. Mi sento davvero come in un incubo in cui tenti di fare il numero di telefono e non ci riesci. L’autobus corre e arriva alla nuova fermata. L’autista apre le porte, i due uomini che stavano accanto a me, ovviamente ne approfittano, scendono e se ne vanno via tranquilli (con il mio iPod). Fine della storia. Certamente banale ininfluente e del tutto marginale se confrontata